Il dogma è sempre quello: conta solo vincere. Eppure qualcosa scricchiola. Sia dentro che fuori dal campo. Forse è tempo che anche la Juventus, la Vecchia Signora del calcio italiano, cambi approccio. E non solo lei. La riflessione sorge spontanea analizzando questa stagione maledetta per i colori bianconeri. Come se non bastassero gli infortuni a Di Maria, Vlahovic e Pogba, il super acquisto estivo che ancora non ha giocato un minuto, e l’eliminazione subita in Champions League per mano – o meglio dire, piedi – di Benfica, Maccabi e PSG, il popolo juventino ha visto il club sgretolarsi davanti ai suoi occhi complice il caso plusvalenze.
Qualche mese fa sembravano quisquiglie, tutto archiviato e avanti i carri. Ora, invece, sono finiti tutti in tribunale, prima per l’udienza sportiva poi per quella penale che deciderà se rinviare a giudizio l’ormai ex dirigenza della Juve. Con buona pace di Agnelli, Nedved e Arrivabene, dimessi (ed estromessi) dal Cda societario. E la pubblicazione della cosiddetta “carta Ronaldo” resa nota in questi giorni dai media, che riguarda l’altro filone delle indagini legato alla manovra stipendi, non lascia presagire nulla di buono. Anzi.
Il processo, per la Juve, rappresenta uno spartiacque. I rischi sono tanti. Si va da semplici sanzioni economiche e squalifiche a penalizzazioni in classifica per arrivare fino all’ipotesi più pesante: la retrocessione o esclusione dal campionato che dir si voglia. Anche se in questo caso bisognerebbe dimostrare che le finte plusvalenze siano state utilizzate per falsificare i bilanci, così da ottenere dalla Covisoc l’ok per iscriversi alla Serie A. Le altre squadre coinvolte nel caso plusvalenze sono Empoli, Parma, Genoa, Sampdoria, Pisa, Pescara, Pro Vercelli e Novara, per un totale di 52 dirigenti. Quando si parla della manovra stipendi, invece, a questa lista dobbiamo aggiungere Atalanta, Sassuolo e Udinese.
Insomma, si parte dalla Juve, perché fa notizia e c’è dentro con entrambi i piedi, ma la questione riguarda in generale il calcio italiano. Ed è per questo che la riflessione di oggi non vuole essere inquisitoria. Non vuole puntare il dito o dare la colpa a qualcuno – fastidiosa moda del nostro Paese a tutte le latitudini, non solo nel mondo dello sport – ma vuole cercare di capire i motivi per cui nel 2023, il club più blasonato d’Italia, possa finire coinvolto in un caso giudiziario come questo. Perché alla base di tutto, inutile nasconderlo, ci sono motivi di natura economica. Troppo alti i costi, troppo basse le entrate. Ma se la società più importante del Belpaese si ritrova con l’acqua alla gola dobbiamo preoccuparci. A prescindere dalle nostre simpatie o antipatie personali. Il calcio è di tutti. Quindi anche la Juve è di tutti.
Vero, qualcuno dirà che i bianconeri hanno fatto tutto da soli. Hanno strapagato Cristiano Ronaldo per tre lunghi anni, sperperato milioni su milioni per giocatori che non valevano quelle cifre (Bernardeschi, Douglas Costa, Ramsey, solo per citarne alcuni), sbagliato investimenti all’interno di una gestione poco oculata. Di contro, però, la Juventus è stato l’unico club della Serie A – dicasi l’unico – a sposare il progetto delle seconde squadre, permettendo a giovani interessanti come Fagioli (2001) e Miretti (2003) di crescere e di diventare calciatori pronti per il massimo campionato italiano; una scelta che ha comportato sicuramente un aumento delle spese e che tutti dovrebbero fare per il bene del movimento, ma che nessuno fa.
Il Ct Roberto Mancini lo ha ricordato proprio in questi giorni: “L’Inghilterra ha Bellingham? Anche l’Italia ha 4 o 5 giovani come lui, basta farli giocare e dar loro fiducia”. L’Udinese e il Napoli, comproprietarie rispettivamente di Watford e Bari, credono nelle società satellite ma non nelle squadre B; e fino all’anno scorso lo stesso faceva Lotito con Lazio e Salernitana. Dunque è solo una questione di costi? Una conviene, l’atra no? Probabile. La Vecchia Signora, almeno in questo, ha avuto coraggio. Bisogna dargliene atto.
Tutto questo, sia chiaro, non giustificherebbe in alcun modo l’eventuale colpevolezza della Juventus nel caso plusvalenze. Se la sentenza dei giudici dirà che la Juve ha sbagliato, dovrà pagare (così come gli altri club coinvolti, nel caso). Ogni azione ha delle conseguenze, nel bene e nel male. E come ha detto il ministro dello sport Andrea Abodi: “Si può morire e poi rinascere, è il bello dello sport”. Belle parole. Anche se la speranza è che il Governo, prima o poi, si accorga che senza un aiuto concreto, a 360 gradi, difficilmente il calcio italiano ritroverà la retta via.
In fondo che effetto vi farebbe una NBA senza Los Angeles Lakers o Boston Celtics? È inimmaginabile. Impensabile. Ma il sistema americano, e non solo quello sportivo, tutelano e favoriscono la sopravvivenza delle loro franchigie. In tutti i modi possibili. Sanno quanto siano importanti per l’economia e l’impatto sociale sul loro Paese. Il pianeta Usa è un universo parallelo, le differenze sono tante con l’Italia, ma è ora che qualcuno, lassù, faccia qualcosa. L’aberrante Superlega non sarà mai la soluzione. Ma investire nel calcio è indispensabile. Per evitare altri casi come questo.
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