“Var più veloce, fuorigioco semiautomatico, comunicazione”. Sono queste le priorità del designatore degli arbitri della Serie A, Gianluca Rocchi, stando a quanto riportato da Gazzetta.it in un’intervista rilasciata a margine di un meeting a Fiumicino. Non ce ne voglia Rocchi, che abbiamo apprezzato quando vestiva i panni di direttore di gara, ma la questione (da risolvere prima possibile) secondo noi è un’altra. Gli arbitri che parlano dopo le partite, infatti, sono un falso problema. E vi spieghiamo il motivo.
Chi ama il calcio vuole vedere lo spettacolo. E questo spettacolo è legato all’intensità e alla velocità con cui scorrono via le partite. Fin da inizio stagione si era detto che gli arbitri italiani avrebbero fischiato meno. Molto meno. Ma chi sta guardando la Serie A, oggi, si è reso conto che ciò non sta avvenendo, a parte rari casi. Per di più, quando ci provano, non sembra che i nostri direttori di gara siano a loro agio con questo tipo di arbitraggio cosiddetto “all’inglese”. Basta pensare alla direzione di Juve-Atalanta di Marinelli, coraggiosa ma alla fine un po’ confusa.
Perché non seguire la Premier League?
Ecco, proprio l’Inghilterra ci può correre in soccorso. Al di là del metro arbitrale, quello che stupisce della Premier League è la capacità di selezionare gli interventi che prevedono una sanzione e quali no. L’esempio più lampante è sui falli in area di rigore, che si tratti di contatti, di tirate di maglia o di falli di mano: la loro valutazione è ancora legata al concetto – sacrosanto nel calcio – di massima punizione. E il VAR interviene veramente di rado, senza pensarci nemmeno troppo su.
In Italia, invece, questo concetto sembra essersi smarrito, e ogni week end vediamo assegnare massime punizioni che fanno perdere di senso al gioco stesso. Vedi i tanti rigori assegnati per fallo di mano in area (il primo che mi viene in mente è quello contro il Sassuolo pro Lazio) oppure per pestoni che non farebbero cadere nessuno ma che vengono valutati come falli rei di massima punizione.
Sia chiaro non stiamo dicendo che la classe arbitrale anglosassone sia migliore della nostra. Stiamo semplicemente affermando che sta utilizzando al meglio gli strumenti che la tecnologia le ha messo a disposizione. Perché se è vero che il VAR è utilissimo ed evita tanti errori, è altresì vero che sapere quando intervenire e quando no permetterebbe all’arbitro di campo di evitare tante polemiche. E quindi di arbitrare meglio, trasmettendo anche maggiore serenità ai giocatori. Che hanno le loro colpe e che dovrebbero cercare, anche loro, di cambiare atteggiamento (vedi le simulazioni).
Dalle simulazioni al dialogo
Quello delle simulazioni, tra l’altro, è un altro caso da analizzare. In Italia si vedono ancora troppi giocatori che si lasciano cadere ad ogni minimo contatto. Ma la soluzione potrebbe essere semplice: se si cominciasse a punire severamente i simulatori a posteriori, sfruttano la tecnologia, magari anche con 2 o 3 giornate di squalifica, siamo certi che i giocatori si adeguerebbero in fretta. E si comincerebbe a stare più in piedi su tutti i contatti. Come succede quando giocano in Europa.
In conclusione ben venga il dialogo, “quando saremo pronti parleremo dopo le partite”, e ben venga accelerare i tempi del VAR, “dobbiamo sveltire i tempi dei nostri interventi, non si può attendere un minuto e mezzo per una decisione arbitrale”, ma come ha detto lo stesso Rocchi: “Per arbitrare serve talento, al Var bisogna studiare”. E allora studiamo come venire fuori da questa situazione di impasse, perché il calcio italiano, così, ha perso il suo fascino e piace un po’ meno a tutti.
Ah, dimenticavamo, ci sarebbe da parlare anche del fuorigioco. Ma questa è un’altra storia. Ve la racconteremo un’altra volta.
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