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Calcio italiano

Leao sulle orme di Amleto: è o non è un campione?

Solo giocando certe partite dal 1′ il portoghese può diventare un fuoriclasse. Se Pioli e il Milan pensano che non sia così, tanto vale venderlo al migliore offerente

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Stefano Pioli e Rafael Leao
Stefano Pioli e Rafael Leao sul prato di San Siro (©LaPresse)

Essere o non essere (un campione), questo è il problema? L’interrogativo su Leao, ormai, è sempre lo stesso. Eterno come l’Amleto. Il portoghese classe 1999, potenziale infinito ma mai completamente esploso, fa discutere. Soprattutto ora che il Milan è piombato in una crisi profonda e apparentemente inarrestabile. Soprattutto dopo le parole post derby di Stefano Pioli: “Leao in panchina? Lo rifarei. Deve imparare a stare sempre dentro la partita per tutti i 90′. Volevo giocare con due punte verticali, lui non è adatto”. Pensieri più o meno condivisibili ma che non possono non scatenare dubbi e diatribe dopo il ko contro l’Inter per 1-0 (ma i gol potevano essere anche di più). Tra i tifosi, tra gli addetti ai lavori. Persino nella testa dei giocatori. In particolare in quella di Leao.

Leao decisivo, lo dicono i numeri

Il portoghese, dati alla mano, resta il giocatore che più sposta gli equilibri nel Milan. Oltre ai gol segnati (8) e agli assist (6) c’è tanto di più. Lo avevamo scritto pochi giorni fa (leggi l’approfondimento), ribadendo quanto l’attaccante nato ad Almada fosse importante, se non fondamentale, per la rinascita del Milan. Magari proprio a partire dal derby con l’Inter. Così come avevamo ipotizzato che abbassare il baricentro della squadra potesse essere utile per dare più tranquillità alla difesa (che non dovendo aggredire in avanti sarebbe stata meno preoccupata di coprire i tanti metri a quel punto liberi alle proprie spalle) e scatenare Leao in ripartenza una volta riconquistata palla. In parte è andata in questo modo ma con una differenza sostanziale, anzi due: Leao è rimasto in panchina, Pioli ha scelto il 3-5-2. 

Una scelta difensivista ma contronatura

Pioli dopo il derby è stato onesto. Ha ammesso di essersi messo a specchio per mettere una pezza alla fase difensiva, che nell’ultimo mese ha fatto acqua da tutte le parti. Il problema, soprattutto nel primo tempo, è stata l’uscita in pressione su Calhanoglu da parte di Origi (ma non solo), che ha sbagliato troppe volte i tempi mettendo in difficoltà i propri compagni. In soldoni, nonostante il cambio modulo (dal 4-2-3-1 al 3-5-2) le distanze tra i reparti sono rimaste un enigma irrisolto. Anche se rinunciando quasi completamente a giocare e abbassandosi molto, il Milan è quanto meno riuscito a limitare i danni.

Ciò che ha sorpreso, però, è stato proprio il fatto di rinunciare a giocare da parte di Pioli. Tale scelta, così come la panchina iniziale di Leao, è sembrata come una resa di fronte all’inevitabile. E ovviamente ha galvanizzato l’Inter, abbattendo al tempo stesso il morale della truppa rossonera. O almeno così è parso osservando le espressioni dei protagonisti in campo, a prescindere dal fatto che i rossoneri avessero provato tutta la settimana questa soluzione tattica.

Cosa manca per essere un fuoriclasse

Ma al di là delle critiche mosse a Pioli, che dalle ore 23 di domenica stanno piovendo copiose sul capo dell’inerme tecnico emiliano (la più pesante è forse quella di Sacchi), la vera domanda da porsi riguarda Leao. Possibile che un calciatore di tale portata, 188 cm di tecnica, velocità e classe, nel giro di poche settimane diventi un problema tanto da finire in panchina in due gare chiave come Sassuolo e Inter? L’indolenza del portoghese che a giugno compirà 24 anni non è la stessa degli anni scorsi. Pioli, in questo, è stato bravissimo. In passato ha coccolato e bastonato Leao quanto doveva per farlo crescere. E i risultati gli stavano dando ragione, visto l’inizio di stagione superlativo del numero 17 rossonero.

Ecco perché questo strappo improvviso, questa doppia esclusione fa specie. Leao forse non sarà ancora un fuoriclasse, perché se riuscisse a esprimere con costanza le sue potenzialità potrebbe diventare il Kylian Mbappè della nostra Serie A, sia in termini di numeri che di prestazioni. Gli manca qualcosa in termini di personalità, è vero. Non riesce a trascinare i compagni come fanno i grandissimi. Ma quando è entrato nel derby la differenza si è vista. E solo giocando partite del genere dal 1′ può ambire a diventare un campione. Se Pioli e il Milan pensano che non sia così, tanto vale venderlo al migliore offerente. Oggi vale 85 milioni di euro, un motivo ci sarà.

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