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Questione stadi, l’Italia ancora non s’è desta

Il caso del Bologna è solo uno dei tanti del calcio italiano, alle prese con norme e lungaggini burocratiche che spesso minano la crescita dei club. E di tutto il movimento

Claudio Fenucci, ad del Bologna sul progetto nuovo stadio Renato Dall'Ara
Foto Massimo Paolone/LaPresse 25 gennaio 2018 Bologna, Italia sport calcio Conferenza stampa progetto nuovo Stadio Renato Dall'Ara - stadio "Renato Dall'Ara" Nella foto: Claudio Fenucci (Bologna F.C.) Photo Massimo Paolone/LaPresse January 25, 2018 Bologna, Italy sport soccer Press Conference project of new stadium Renato Dall'Ara - "Renato Dall'Ara" stadium. In the pic: Claudio Fenucci (Bologna F.C.)

Sono passati quattro lunghi anni ed è ancora tutto fermo. Di mezzo c’è stato il Covid, uno dei periodi più incredibili della storia recente, che con i suoi lockdown ha fatto perdere miliardi di euro al calcio italiano (e non solo). Ma vedere una società solida e vogliosa di investire come il Bologna FC 1909 che non riesce ad avviare i lavori che porteranno al rinnovamento dello stadio Renato Dall’Ara fa davvero impressione. E mette a nudo tutti i problemi di cui l’Italia soffre in materia di impiantistica. La questione stadi, nel nostro Paese, è a dir poco allarmante. Parliamone.

Nuovo Dall’Ara: il progetto

Correva l’anno 2019. Era il 25 gennaio, per l’esattezza. Il presidente Joey Saputo e l’amministratore delegato Claudio Fenucci convocano una conferenza stampa al Dall’Ara per presentare il progetto che avrebbe portato al rinnovamento dello storico stadio del Bologna, ristrutturato ai tempi di Italia ’90 e bisognoso di un restyling per renderlo più adatto sia per lo spettacolo da offrire al pubblico che per gli spettatori che vi assistono, per l’appunto. Un progetto ambizioso che prevede la copertura di tutte le tribune ma soprattutto l’eliminazione della pista di atletica e il conseguente avvicinamento delle sedute al campo da gioco, uno dei più belli dell’intera Serie A, per creare il tipico effetto dei campi inglesi. Un impianto da sogno, con spazi dedicati anche a negozi e centri commerciali, per rendere il tutto fruibile a tifosi e famiglie.

Tuttavia per rinnovare il Dall’Ara al Bologna serve una “casa temporanea”, perché per completare il progetto appena descritto (costo: 170 milioni di euro suddivisi tra club, che ne metterà 130, e Comune) ci vorrà almeno un anno di passione. Così, dopo una serie di attente valutazioni (e qualche polemica), la scelta è ricaduta sullo spazio del CAAB (Centro Agro Alimentare di Bologna), zona alla periferia della città. Il motivo è semplice: quest’area è l’unica dove poter allestire tutto ciò che serve per collegare gli ampi parcheggi limitrofi già esistenti e gestire il “traffico” di persone generato da una partita di Serie A. Strutture che in un secondo momento, quando lo stadio temporaneo verrà abbandonato dalla prima squadra, andranno eliminate. L’impianto conterrà inizialmente 16 mila posti, così da essere a norma rispetto ai parametri della Serie A, che scenderanno a 3mila quando diventerà la casa della Primavera e della squadra femminile.

Le ultimissime

Un progetto mastodontico e all’avanguardia che però attende ancora di partire. Il Comune vuole maggiori dettagli sul progetto dello stadio temporaneo, che rimarrà in gestione al Bologna per 10 anni e costerà 11 milioni di euro totalmente a carico del club, e così i lavori non potranno partire prima di fine anno. Di conseguenza la squadra potrà lasciare il Dall’Ara solo nella stagione 2024-25, ritardando ancora una volta il restyling dello stadio che sorge su via Andrea Costa, quasi nel cuore della città. Insomma, un iter infinito. Soprattutto se consideriamo che il progetto originale risale all’inizio del 2017.

Dalla Roma alla Viola, quanti casi assurdi

Sei anni di tira e molla che non hanno fatto bene a nessuno. Perché se è vero che il restyling del Dall’Ara porterà alla nascita di nuovi spazi commerciali, e quindi a nuovi posti di lavoro, non si capisce perché in Italia si faccia sempre così fatica a realizzare le grandi opere. E’ successo alla Roma, che da anni con la nuova proprietà americana insegue il sogno di un nuovo stadio ma che per ora è rimasta coinvolta in uno scandalo portato alla luce nel 2018 in seguito al quale l’amministrazione comunale ha persino chiesto un maxi risarcimento al club. Ora, fortunatamente, la situazione è rientrata e si parla di un nuovo stadio in località Pietralata, ma considerando i tempi della burocrazia italiana chissà se lo vedremo mai sorgere.

E che dire di Milan e Inter, che stanno litigando da tempo con le istituzioni sull’argomento, o della Fiorentina, che per restaurare il Franchi ci metterà 3 anni. Già, proprio così, restaurare. Non abbiamo sbagliato termine. Il problema, forse, è tutto qui. Fino a quando il Governo italiano non capirà che considerare tali strutture alla stregua di beni culturali in certi casi è più un male che un bene e che senza nuovi stadi il calcio è destinato a soccombere, allora la strada sarà sempre in salita. Le norme vanno semplificate. Gli iter accelerati. Sia per un’eventuale ristrutturazione che per la creazione ex-novo di un impianto. Ma a quanto pare, sul tema stadi, l’Italia ancora non s’è desta. 

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