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Calcio estero

Bernardo terzino, genio Pep: è lui il migliore del mondo?

Non vincerà la Champions League ma Guardiola non smette di stupire. La sua ultima trovata tattica riapre un dibattito infinito: lo spagnolo è il miglior allenatore del mondo?

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Guardiola e Bernardo Silva
Pep Guardiola, allenatore del Manchester City, catechizza Bernardo Silva (©LaPresse)

Alzi la mano chi pensa che Pep Guardiola non sia il miglior allenatore di calcio del mondo? Se l’avete tirata su, a nostro avviso, state commettendo un errore. Senza offesa, naturalmente. E’ giusto che ognuno abbia il proprio pensiero e la propria opinione, ci mancherebbe. Così come è giusto sostenerle con forza se vi si crede, magari per creare un dibattito o una discussione costruttiva che serva a migliorare tutte le parti coinvolte. E noi, oggi, partendo dall’ultima “guardiolata” (Bernardo Silva terzino sinistro), cercheremo di sostenere il nostro assunto: Pep Guardiola è il miglior allenatore del mondo.

Il numero uno per i suoi colleghi

Partiamo da un presupposto. Utilizzare un trequartista come Bernardo Silva da terzino è un’intuizione che, più che il coraggio, dimostra la grande conoscenza che Guardiola ha del gioco. Lo ha spiegato lui stesso ai giornalisti dopo la vittoria per 3-1 sull’Arsenal: “Se voglio mettere un terzino per limitare Saka non schiero Bernardo, inserisco un difensore puro come Aké. Ma io non volevo fermare Bukayo: volevo controllare l’Arsenal e dominare il gioco. Per questo ho scelto Bernardo Silva”. Una mossa ragionata, che ha pagato i dividendi e che dimostra quanto il tecnico spagnolo studi partite e avversari.

Questa sua genialità è una delle caratteristiche che porta i suoi colleghi, e non noi, a dire che Guardiola è il migliore di tutti. A domanda esplicita, quasi tutti sono d’accordo: lo spagnolo è il GOAT della panchina. Anche chi lo ha battuto più volte come Klopp e Ancelotti, altri due fantastici tecnici, non lesinano mai complimenti a suo favore. Solo Mourinho, la sua nemesi, non dice mai bene di lui. Ma ogni supereroe, se ci pensate, ha un “cattivo” da sconfiggere che fa sempre ritorno. Ecco, per Pep è lo Special One. E viceversa.

Insomma, sono le idee dello spagnolo che mettono tutti d’accordo in un mondo dove, quasi sempre, nessuno lo è. Al di là dei risultati, Pep ha dato e sta dando tanto al gioco del calcio in generale. Pensa sempre a evolversi e a evolvere il proprio modo di approcciare questo sport. Studia, modifica, va avanti e poi torna indietro. A volte anche a discapito del successo sul campo, perché vincere come vuole Guardiola è molto più difficile che farlo in modo tradizionale. Lui vuole dominare, imporre, divertire. In fondo ci sono due modi per passare alla storia nello sport: stabilire record e innovare con le proprie idee. Pep, la storia, la insegue con il secondo modo. I record pensa siano una naturale conseguenza.

Difendere in avanti, possesso infinito

Che Guardiola abbia cambiato il calcio moderno è un dato di fatto, oggettivo. Ha iniziato a farlo ai tempi del Barcellona, decidendo di difendere in avanti anziché all’indietro quando si perde palla. Nei settori giovanili, fino a quel momento, una volta persa palla si “scappava”  verso la propria porta, per usare un termine tecnico. Il recupero immediato della palla con una pressione collettiva da parte dei giocatori più vicini agli avversari non si insegnava, ora è un dogma. Il cosiddetto falso nueve non lo si può definire in tutto e per tutto una sua invenzione ma il concetto “il nostro centravanti è lo spazio” è farina del suo sacco. E ha portato tante squadre a rinunciare a un 9 vero in favore di giocatori con caratteristiche diverse, capaci per l’appunto di liberare lo spazio da attaccare per cercare di fare gol.

Allo stesso concetto si lega il tiki taka, “rubato” al calcio a 5. Gioco e mi muovo all’infinito fino a quando non trovo una porzione di campo libera in cui far male all’avversario. La Spagna, giocando così, ha vinto giusto qualcosina… Ma l’ossessione di Pep per il possesso palla e il dominio assoluto del gioco ha avuto il suo apice al Bayern Monaco. In una conferenza stampa, di fronte a una domanda di un giornalista, rispose così: “Se arrivi ad avere il 100 per cento di possesso palla non puoi perdere la partita, male che vada pareggi 0-0”. Una provocazione, certo, ma che racconta alla perfezione il Guardiola pensiero. Che infatti, coi tedeschi, riuscì a toccare il 90 per cento di possesso in tante partite.

Un dato incredibile, ottenuto giocando spesso con il 3-2-2-3, il vecchio sistema WM che fece le fortune di Arsenal e Torino negli anni ’30, poi dell’Ungheria negli anni ’50 nella sua versione MM. Un visionario, capace nel 2015 di presentarsi al Camp Nou difendendo 3 vs 3 sul tridente Neymar-Messi-Suarez. Parliamo di una semifinale di Champions League. I suoi difensori erano Rafinha, Boateng e Benatia. Una follia, per molti. Che in effetti non pagò, visto che il Bayern uscì. Non per Guardiola, che insegue il risultato con idee totalmente fuori dagli schemi. Proprio quello che fanno i rivoluzionari.

Una fede che (a volte) acceca

Ecco, forse è questo l’unico punto debole di Guardiola: crede talmente tanto nella sua visione che a volte la sua sapienza calcistica sfocia nell’arroganza. E paga pegno. L’utilizzo di Bernardo Silva da terzino sinistro, in fondo, segue un’altra intuizione tattica di Guardiola per favorire la costruzione dal basso: quella di far entrare gli esterni bassi dentro il campo, diventando di fatto due mezze ali in fase di impostazione. Una soluzione nata a Manchester, sponda City ovviamente, e attuata sia con Walker che con Cancelo e Zinchenko. Persi gli ultimi due lo stesso destino è toccato al portoghese che, sotto la guida di Guardiola, è diventato un calciatore totale. Soluzione poi adottata da tanti allenatori dopo di lui (basta pensare a Pioli con Calabria e Theo l’anno scorso).

Il problema è che a volte, con tutti questi interpreti offensivi in campo, si domina la partita ma si rischia di subire gol ogni qualvolta non si ha la palla. Inseguire il sogno di vincere mantenendo sempre il pallino del gioco è il limite di Guardiola, che in campionato riesce a recuperare gli eventuali scivoloni mentre in Champions cade da anni nelle sfide dentro-fuori. Non le sbaglia quasi mai, ma manca quel pizzico di equilibrio che forse gli avrebbe potuto dare un paio di trofei in più in bacheca. Ma come detto prima: per lui, la storia, passa dalle idee, non dalle vittorie. E’ il bello di Pep. O almeno, a noi piace così.

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