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“Simone Pafundi in Nazionale per 20 anni”. Roberto Mancini esalta il 17enne: come sta giocando?

Il Ct dell’Italia, alla vigilia della prima gara delle qualificazioni ad Euro 2024, ha esaltato il trequartista dell’Udinese che però non sta trovando spazio. Il calcio italiano persevera nei suoi errori

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Simone Pafundi nel ritiro della Nazionale azzurra a marzo 2023
Simone Pafundi nel ritiro della Nazionale azzurra (©LivePhotoSport - Nicolas Morassutti)

Simone Pafundi, in Serie A, non gioca mai. Finora, con mister Sottil, ha collezionato appena 9 minuti tra campionato e coppe. Roberto Mancini, tuttavia, esalta e tesse le lodi del trequartista classe 2006. “Quando faccio le convocazioni la mia idea è prima Pafundi, poi tutti gli altri. Ha enormi qualità e spero resti in Nazionale per i prossimi 20 anni”. Ecco, il paradosso del calcio italiano è tutto qui, racchiuso in queste parole e nella gestione del giovane talento dell’Udinese. I ragazzi, quelli bravi, giocano dappertutto. Anche nel Paris Saint Germain, una big del calcio europeo che ha ben altri obiettivi rispetto al club della famiglia Pozzo – con tutto il rispetto, ovviamente -. Ma non da noi, in Italia. La Serie A è un campionato per vecchi, bisogna farsene una ragione. Con tutto quello che ne consegue.

La squadre italiane che puntano e lavorano bene sui giovani sono davvero poche. L’Empoli è una mosca bianca, ed è un club di fascia medio-bassa. L’Atalanta e la Roma, tra le attuali big, sono quelle che producono più talenti. Con modus operandi differenti ma comunque efficaci: basta pensare a Bastoni e Scalvini da un lato oppure a Frattesi, Scamacca e Pellegrini dall’altro. Il Milan ha iniziato qualche anno fa una politica incentrata sui giovani (vedi Donnarumma, Calabria, Cristante e Petagna) ma fatica a sfornarne con continuità. Dall’Inter negli ultimi anni non è uscito nessuno, così come dal Napoli. Ora ci sta riuscendo la Juventus, con l’aiuto della sua seconda squadra che ha permesso di emergere a ragazzi come Fagioli e Miretti. Perché altri club non le allestiscano resta un mistero.

Il paradosso nerazzurro

Eppure di giovani validi, se si scorrono le carriere di alcuni giocatori che oggi sono nel giro azzurro, l’Inter un paio li avrebbe cresciuti. Parliamo di Willy Gnonto e Federico Dimarco, due frecce a disposizione di Mancini che però, per arrivare sui grandi palcoscenici, hanno dovuto circumnavigare l’intero pianeta calcio. E dire che entrambi hanno fatto tutta la trafila fino alle soglie della prima squadra, ma quando è arrivato il momento di fare il grande salto hanno dovuto prendere altre strade. Lo stesso è successo con Cesare Casadei, centrocampista classe 2003 che tanto bene aveva fatto l’anno scorso tra Primavera e Youth League, ceduto proprio quest’anno al Chelsea.

Insomma, il problema è sempre lo stesso. Il talento, in Italia, sarà anche diminuito rispetto al passato ma quello che ancora oggi è presente viene quasi sempre snobbato da parte dei club. Grandi o piccoli che siano. Si preferisce far giocare un calciatore più pronto, magari di qualche anno più vecchio e già maturo fisicamente, anziché investire su giovani italiani che hanno bisogno di giocare tra i “grandi” per maturare e fare l’ultimo importante passo della loro carriera. Vero, gli allenatori devono raggiungere un obiettivo e spesso sono loro a pagare se i risultati non arrivano. Anzi, pagano sempre loro. E allora sono le società che devono cambiare il loro modo di fare calcio se vogliamo che i nostri giovani diventino grandi calciatori. Non tutti, sia chiaro, ma almeno quelli che hanno i numeri per farcela.

Pafundi, un anno passato a guardare

Simone Pafundi sembrerebbe proprio uno di questi. Nel 2021-22, a soli 16 anni, ha esordito in Serie A nonostante un fisico tutt’altro che poderoso (è alto 166 cm), elemento sempre più importante nel calcio moderno. Il ragazzo, del resto, è dotato di ben altre armi: ha stoffa e qualità da fuoriclasse. Alcuni addetti ai lavori si sono addirittura sbilanciati, paragonandolo a Diego Armando Maradona per come tocca la palla. Non a caso l’anno scorso, prima del debutto a Salerno con l’Udinese, aveva giocato da titolare in Primavera 2 da sotto età (l’annata “titolare” erano i classe 2003 con i 2004 come fuoriquota) dimostrando di avere numeri fuori dal comune. Ecco perché in questa stagione tutti si aspettavano ben altro minutaggio da parte di Andrea Sottil.

Invece le chance per Pafundi sono state davvero pochissime. Quasi zero. Dopo una prima parte di stagione vissuta a cavallo tra la Primavera 1 e la prima squadra, l’Udinese da gennaio lo ha aggregato in pianta stabile con gli uomini di Sottil. Ma nemmeno con l’infortunio di Gerard Deulofeu il giovane trequartista è riuscito a ritagliarsi uno spazio degno di nota. E ad oggi, nonostante Mancini lo abbia convocato sia per lo stage azzurro aperto a tutti i giovani talenti sia per le qualificazioni ad Euro 2024 in programma in questi giorni (23-26 marzo), Pafundi ha giocato quasi solo in Primavera, dove ha collezionato 10 presenze condite da 3 gol e 6 assist tra campionato e Coppa Italia. Con Sottil, invece, è sceso in campo per 9 miseri minuti.

Poco, troppo poco per uno dei talenti più fulgidi dell’intero panorama nazionale. Gli esempi di Warren Zaire-Emery (centrocampista classe 2006) e El Chadaille Bitshiabu (difensore classe 2005), titolari a più riprese già quest’anno col Paris Saint Germain tra Ligue 1 e Champions League, sono lì a dimostrarlo: se non li mettiamo alla prova, i giovani, non sapremo mai se sono pronti per affrontare e giocare con i “grandi”. E nessuno, nel mondo del calcio, ha di che guadagnarci da questa situazione stagnante. Né i club, né la Nazionale azzurra. Chissà che l’esempio di Pafundi non serva per invertire la rotta.

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1 Commento

1 Commento

  1. Marco Pinelli

    21 Marzo 2023 at 15:46

    Sacrosante considerazioni! Riprova di quanto scritto è che gli addetti ai lavori in italia continuano a chiamare giovani chi ha 23/24 anni… questo dice tutto.

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