Il miracolo di San Diego. O forse è meglio dire di San Vittorio, dove Vittorio sta per Victor. Osimhen, naturalmente. Lo scudetto numero tre nella storia del Napoli sa di miracoloso. Non per quello che si è visto in campo, perché lì gli azzurri hanno dominato in lungo e in largo, lasciando le briciole ai propri avversari. Come dimostra il trionfo arrivato con cinque giornate d’anticipo. Ma se contiamo gli anni passati dall’ultimo tricolore vinto fuori dall’asse Milano-Torino, allora sì che gridiamo al miracolo.
L’ultima squadra capace di tale impresa era stata la Roma di Fabio Capello. Proprio lui, “Don Fabio”. Sarà un caso, ma anche qui c’era di mezzo qualcosa di venerabile, non un “santo” ma un “prete”. Correva la stagione 2000-01. Una vita fa. Da allora nessuno era più riuscito a scalzare Juventus, Inter e Milan dalla vetta della Serie A. Come dire: senza preghiere, ragazzi, vincono sempre loro. I tre club più blasonati d’Italia. Dodici volte i bianconeri (compreso lo scudetto ritirato e non assegnato del 2004-05), sei i nerazzurri e tre i rossoneri.
Da Sarri a Spalletti, finalmente Napoli!
Da ieri, 4 maggio 2023, l’egemonia biancorossonerazzurra è stata finalmente interrotta. Ed è così grazie al Napoli. Non ce ne vogliano i tifosi di Juve, Milan e Inter ma chi ama lo sport detesta la monotonia, i domini assoluti di un unico padrone. Veder sempre vincere gli stessi rende meno magico ed elettrizzante il gioco. Scoprire ogni anno che il campione potrebbe cambiare regala invece grandi emozioni. Nel 2021-22 è successo qualcosa di simile con il Milan, ma solo perché erano tanti anni che il Diavolo latitava. L’unico ad andarci vicino fuori dall’asse Milano-Torino era stato Maurizio Sarri, sempre con il Napoli. Ed era stata una stagione fantastica da vivere. Da seguire.
Per questo diciamo grazie al Napoli di Luciano Spalletti. Che ha compiuto un’impresa in mezzo ai giganti del calcio italiano. Per di più nella stagione più difficile. Quella del dopo Insigne, Mertens e Koulibaly, tre totem azzurri. Non solo dello spogliatoio ma anche in campo: lo “scugnizzo” nato e cresciuto a Napoli, il miglior marcatore di sempre nella storia del club e uno dei difensori centrali più forti mai visti da quelle parti. Calciatori di primo livello sostituiti con grande bravura dal direttore sportivo Cristiano Giuntoli, autore di un autentico capolavoro. Non un miracolo, in questo caso. Perché da buon artigiano del pallone e fine conoscitore del mercato ha centrato gli obiettivi e ha costruito una squadra giovane e forte. Giù il cappello.
La caduta dei “tiranni”
L’attesa del Napoli durava da 33 anni. Tanto era passato dall’ultimo tricolore vinto con Diego Armando Maradona in campo. Era la stagione 1989-90. Gli anni d’oro del calcio italiano. A quei tempi tante squadre si alternavano in vetta, una dopo l’altra. Nel 1986-87 era toccato sempre agli azzurri, trascinati dal “Pibe de Oro” al loro primo scudetto. Poi Milan, Inter, di nuovo Napoli e a seguire la Sampdoria. Quella di Vialli e Mancini, con il mitico Boskov in panchina. Da quel momento in avanti solo Lazio e Roma interromperanno il dominio di Juve, Milan e Inter. Parliamo del 1990-91.
Quella volta ci vollero dieci anni, con lo scudetto vinto dalla Lazio di Eriksson nel 1999-2000. Questa volta più di venti. Un’attesa quasi infinita, interrotta da Spalletti e dai suoi ragazzi. Che grazie al pareggio di Udine hanno fatto esplodere di gioia una città intera e il suo popolo. Un’apoteosi che si è protratta fino alle prime luci dell’alba quasi in tutta Italia, con fuochi d’artificio in tante piazze. Ma d’altronde quando i “tiranni” cadono, festeggiano tutti. Nessuno escluso. Succede anche nello sport. E in questo caso, visto che in ballo non c’è la libertà delle persone ma solo l’amore per il calcio, è ancora più bello.
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