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Conceiçao certifica il problema mentale della Juve di Thiago Motta

Il botta e risposta virtuale tra Thiago Motta e Sergio Conceiçao certifica la crisi di identità della Juventus: il problema dei bianconeri è mentale

Sergio Conceiçao, Milan, e Thiago Motta, Juventus
Sergio Conceiçao, Milan, e Thiago Motta, Juventus (© Lapresse)

La Juventus esce sconfitta dalla semifinale di Supercoppa Italiana, il ko contro il Milan rivela un problema che va oltre il risultato: la mentalità. Una questione che emerge prepotentemente dal confronto tra gli allenatori delle due squadre, Thiago Motta e Sergio Conceição, che incarnano approcci comunicativi e filosofie di gioco opposte.

Thiago Motta, il problema è mentale

Prima della partita, Thiago Motta aveva dichiarato: “Non conosco squadre o allenatori che vanno in campo per perdere… anche io voglio vincere, ma il successo per me non è un’ossessione”. Un messaggio riflessivo, privo di pressioni autoimposte che non convince chi come Alessio Tacchinardi, ha frequentato per undici anni l’ambiente bianconero (1994-2005): “[…] questa Juventus perde perché non è ossessionata dalla vittoria.

Alla serenità di Motta si contrappone la determinazione estrema del collega Sergio ConceiçaoNon sono venuto per farmi amici ma per vincere”. L’approccio comunicativo del portoghese mette a nudo, in maniera implicita, i limiti della Signora, alla ricerca di una nuova identità che sappia coniugare il piacere del gioco con l’ambizione di ritornare grande.

La sconfitta contro il Milan segue il pareggio beffardo contro la Fiorentina, in cui Vlahovic e compagni si erano già fatti sorprendere nel finale. Questa incapacità di gestire i momenti cruciali è il sintomo di una mentalità che sembrerebbe ad oggi distante da quel DNA che ha sempre contraddistinto la Juventus, storicamente legato a uno slogan ben preciso: “Vincere non è importante, è l’unica cosa che conta”.

Ossessione o responsabilità?

Tacchinardi ha evidenziato come questa ossessione per il successo, che un tempo rappresentava il motore della Juventus, sia oggi messo in discussione. Una trasformazione che non può essere attribuita solo all’allenatore, ma che si intreccia inevitabilmente ai nefasti ultimi anni, in cui l’intera gestione societaria ha lasciato perplessi i tifosi: i problemi nati all’indomani dell’operazione Ronaldo, la pandemia da Covid-19 con le sue conseguenze economico-finanziarie, la vicenda plusvalenze…

Eppure, forse è proprio il concetto di ossessione a dover essere rivalutato. Gianluca Vialli, compianto simbolo bianconero, aveva già messo in guardia da questa deriva, affermando che vincere alla Juventus “non è una gioia ma un sollievo”. Una frase che racchiude la complessità dell’eredità juventina: puntare tutto sulla vittoria rischia di svuotarla del suo significato più autentico, trasformandola in una fredda necessità.

Questo non significa che la Juventus debba rinunciare alla responsabilità di vincere. Al contrario, è essenziale che la squadra ritrovi l’equilibrio tra l’ambizione di arrivare prima e la capacità di affrontare le sfide con determinazione, senza autodistruggersi sotto il peso delle aspettative.

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