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Diavolo di un Milan, dall’Inferno al Paradiso: Conceicao, per la Divina Commedia manca un aspetto

Il Milan di Sergio Conceicao ha bisogno di tempo, chiaro, ma in queste prime quattro partite ha già fatto capire le differenze con Fonseca.

Conceicao Milan
Conceicao Milan (Lapresse)

Ovviamente non c’è nessuna intenzione a voler scomodare Dante Alighieri, ma il gioco di parole è presto fatto per legare il Diavolo ai tre gironi citati dal poeta nei suoi testi. Il Milan è un po’ dantesco sotto certi punti di vista e lo ha dimostrato, soprattutto, con l’arrivo di Sergio Conceicao. La notizia del suo arrivo in panchina è arrivata come un fulmine a ciel sereno in una giornata fredda di dicembre, ma in poche settimane il portoghese ha già scaldato i cuori dei tifosi rossoneri.

Non soltanto per la vittoria della Supercoppa Italiana nel derby, anche se ha influito per lo sfottò con i cugini, ma perché la squadra ha fatto vedere un cambio mentale non indifferente. Nonostante una condizione ancora da ritrovare (ma è un discorso un po’ generale in rosa), c’è da sottolineare come ogni singolo ragazzo metta tutto sé stesso fino all’ultimo secondo disponibile della partita. Ma per diventare Divina questa ‘Commedia’, scusate il gioco di parole, manca ancora di un aspetto.

Sergio Conceiçao, Milan

Sergio Conceiçao, Milan (© Lapresse)

Mentalità e lavoro

Pugni sul tavolo, Tv spaccate (un po’ come a dire ‘Lasciate ogni speranza voi che entrate’ sempre per legarci a Dante) e tanto, tantissimo lavoro. Sergio Conceicao è entrato nel mondo Milan non proprio in punta di piedi e, sotto certi punti di vista, è stato un bene così. Questa squadra aveva bisogno di un elettroshock intenso per risvegliarsi e tirare fuori le proprie qualità. È impensabile che da un giorno all’altro giocatori come Theo Hernandez e Leao potessero aver perso quel tocco da top player. Ma è altrettanto palese che il feeling con Fonseca non fosse mai scattato.

Al netto dell’episodio del ‘Cooling Break’ all’Olimpico anche altre situazioni hanno fatto pensare a qualcosa di più di un semplice ‘momento no’. L’arrivo di Conceicao ha fatto cambiare pagina. Iniziare un nuovo capitolo che, fin dal principio, ha portato subito nuove idee e un trofeo. Il Dna rossonero è proprio quello incarnato dal portoghese: lavoro, grinta e, soprattutto, lottare con la mentalità di vincere. Che non vuol dire vincere per forza, ma almeno andare in campo con quell’idea. E a sottolinearlo sono proprio loro, Theo e Leao, nel post gara.

Leao punzecchia Fonseca, Theo più morbido

“Il nuovo allenatore ci ha portato quello che mancava prima”. Ha sottolineato Leao. Un messaggio non proprio velato all’indirizzo dell’ex allenatore. Ma il punto fondamentale è: “Tutti cercano di dare il massimo”. E questo è un dato di fatto. Più morbido Theo Hernandez: “La cosa più importante è il lavoro che stiamo facendo. Abbiamo vissuto un periodo negativo ma nel calcio succede. E siamo esseri umani, non possiamo sempre vincere”. Questo è fuori discussione, ma vincere dà comunque forza e energie ulteriori. A ogni modo le parole dei due, tra i giocatori più rappresentativi, sono abbastanza significative sul cosa è cambiato in meno di un mese. Conceicao ci ha messo poco per entrare nella testa dei suoi giocatori, ma come ogni perfezionista non è ancora soddisfatto al 100%.

Cosa manca a questo Milan per migliorare?

E dunque la domanda sorge spontanea. Cosa manca a questo Milan? Perché se i risultati ci sono, tolto il pari con il Cagliari, potrebbe essere quasi tutto sistemato. E, invece, no. Il perfezionista Conceicao ha detto una cosa importante al termine della sfida col Como: “Potevamo stare meglio in campo, concedere meno e avere più fame”. Tre aspetti da non sottovalutare che aggiunti a questo Milan possono davvero far fare un salto importante alla squadra. Questione di mentalità, ma anche di condizione. Lavoro, lavoro e ancora lavoro. Il segreto è sempre e soltanto uno.

Il portoghese lo sa bene e batte su questo aspetto. Nonostante le gare ravvicinate e l’impossibilità di allenare più ad ampio raggio, sul campo, movimenti e altre situazioni. Ma poco importa perché le immagini parlano chiaro, soprattutto quelle di fine partita. Il gruppo unito e un unico condottiero, l’allenatore a parlare al gruppo. Non in mezzo perché non vuole essere il capo, ma al pari dei suoi ragazzi per guardarli dritti negli occhi. Identità, consensi e unione: tre chiavi fondamentali per raggiungere successi.

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