Se c’è un uomo che incarna la forza di volontà quello è proprio Edoardo Bove. Non potrebbe essere altrimenti per un talento del calcio italiano che il prossimo 16 maggio compirà 23 anni. Una voglia di vita prima ancora che di calcio confermata – qualcosa ce ne fosse bisogno – anche nella serata finale del Festival di Sanremo. Dinanzi a milioni di italiani, gli stessi che qualche mese prima lo aveva visto accasciato al Franchi, si è messo a nudo. Le fragilità, il timore, la paura di perdere tutti e tutti. Ma soprattutto un insegnamento per tutti: mai arrendersi.
Festival di Sanremo, Edoardo Bove presente in Liguria: ecco quando
Bove e il malore: “È come se si fosse chiuso un cerchio”
Lo ha dimostrato prima con i fatti, poi con le parole. L’impossibilità di giocare per via del defibrillatore sottocutaneo non lo ha certo sbattuto. Da quando è stato dimesso dall’Ospedale Carreggi, Bove segue ogni allenamento e partita dei suoi compagni. In panchina, grazie a una speciale deroga, nelle vesti di mental coach e – alle volte – anche di raccattapalle. “È come se si fosse chiuso un cerchio” ha detto il centrocampista in una lunga intervista a Vanity Fair. “Tutto è ripartito da quel momento, dopo un lungo stand-by”. Una pausa che ha tenuto in apprensione milioni di italiani. Quelle scene, l’ambulanza, il panico e le lacrime dei calciatori: immagini stampate nella testa di tutti che – per un’istante – sono sembrate un triste e dannato flashback.
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L’abbraccio tra Kean e Bove (Lapresse)
Di quei momenti Bove ricorda poco o nulla: “Ero in campo e a un certo punto ha cominciato a girarmi la testa come quando ti alzi troppo velocemente dal letto. Ho avvertito una sensazione di spossatezza e basta. Non ricordo di essere caduto”. L’Italia ricorda eccome, invece, quegli attimi concitati anche se è stato o stesso Bove a scherzarci su: “Che cosa ho pensato? Sincero? ‘Ammazza che figura di m…. davanti al mondo intero. Ma potevi scegliere un altro momento?!’ Era la partita delle 18, quella per il primo posto in classifica, la stavano guardando tutti. Detesto farmi vedere vulnerabile”.
La fragilità e la voglia di tornare in campo
Ma è proprio la vulnerabilità, unita alla forza di volontà, il lato che colpisce maggiormente. Una vulnerabilità che racconta di una dura realtà: anche i calciatori sono umani. A maggior ragione in un calcio moderno in cui si gioca praticamente ogni tre giorni. Un caso, quello di Edoardo Bove, che ha acceso i riflettori non solo sulle tante partite ravvicinate, ma anche sulla possibilità di rivedere qualche regola in merito al protocollo medico-sanitario del nostro campionato.
Ad oggi, Bove non può giocare in Serie A per via del defibrillatore sottocutaneo. Caso identico a quello di Christian Eriksen che fu costretto a lasciare l’Inter per proseguire la carriera in Premier League. Le istituzioni, nelle vesti del ministro dello Sport Andrea Adobi, hanno confermato la possibilità – e la volontà – di rivedere qualcosa.
Ma ad oggi la scena più bella è sicuramente quella di rivedere in piedi un ragazzo che ha tutta la vita davanti. Un uomo lucido, consapevole di quanto sia stato fortunato, ma che non vede l’ora di tornare in campo. I compagni lo aspettano, l’Italia lo aspetta. La stessa cui ha lasciato un grande insegnamento. Un cuore d’acciaio, nonostante tutto.
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