Il gol di Miles Lewis-Skelly, che da ieri notte è diventato l’uomo dei record per l’Inghilterra di Tuchel, pone nuovamente l’accento su una questione ormai tanto attuale quanto ripetitiva. In Spagna, ci sono due classe 2007 tra i titolari, in Francia stanno salendo in cattedra i giovani di talento, così come in Germania o in Olanda. In Italia invece, il processo di inserimento graduale dei prodotti del nostro settore giovanile procede con clamoroso ritardo sulla tabella di marcia.

Riccardo Calafiori (LaPresse)
Lewis-Skelly batte record a 18 anni: il confronto con i giovani italiani
Un paragone quasi impietoso
18 anni e 176 giorni: questo è diventato uno spartiacque importante nella storia della Nazionale inglese. Contro l’Albania infatti, nella notte di ieri, Myles Lewis-Skelly ha messo agli archivi il record che apparteneva a Marcus Rashford (18 anni e 209 giorni) come gol più giovane al debutto con la maglia dei “Tre Leoni”. Una rete che arriva al 20′ del primo tempo e che certifica la voglia del talento dell’Arsenal di bruciare le tappe. Dato che spiana la strada ad un confronto quasi impietoso col nostro calcio: gli inglesi infatti ieri sera schieravano Foden, che all’età di 19 anni esordiva in nazionale, Bellingham (pilastro della squadra da quando ha 18 anni nonché terzo esordiente più giovane con la maglia dei britannici) e Rashford (detentore del precedente record come gol più giovane al debutto con la nazionale inglese).
Con i baby fenomeni si può persino vincere
Confronto ancora più impari se si considera la Spagna: la “furia roja”, campione in carica degli Europei, ha giocato con due classe 2007 contemporaneamente in campo contro l’Olanda in Nations League; certo, che quei due siano Cubarsi e Yamal aiuta, ma il concetto alla base rimane. Soprattutto considerando un parallelo tra (quasi) pari età: Pedri e Fabbian sono nati a circa due mesi di distanza, ma vivono due momenti totalmente diversi; lo spagnolo è accentratore e motore primario della propria nazionale, l’incursore del Bologna è invece ancora relegato con l’Under 21, da fuoriquota. Un paradigma che potremmo ripetere all’infinito, visto che lo stesso programma è stato applicato per Sandro Tonali (che nell’Europeo U21 del 2023, all’età di 23 anni, era capitano degli “azzurrini”) o Tommaso Baldanzi.
Il risultato? I giocatori citati non arriverebbero alla quota di partite giocate in nazionale da Pedri neanche se fondessimo i tre numeri insieme (30 contro le 22 del solo Tonali, Baldanzi e Fabbian sono ancora a secco di presenze con la maggiore). Tradotto: in azzurro fanno fatica a giocare anche i classe 2003, in Spagna, Olanda o Inghilterra le partite vengono giocate e decise perfino dai minorenni.
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Il problema è che il talento scarseggia?
Un “no” secco potrebbe stroncare sul nascere la questione. Per approfondire però, dobbiamo necessariamente riavvolgere il nastro al 20 marzo 2023: quel giorno, Roberto Mancini lanciava un grido ad oggi rimasto inascoltato. Quel “prima Pafundi, poi tutti gli altri” al momento della stesura dei suoi convocati, male interpretato da molti come slancio egoriferito, doveva fungere da monito. Un appello a cambiare abitudini, a spostare l’interesse dal breve periodo al medio-lungo termine. Perché forse il motivo principale della frattura così ampia tra il nostro calcio e il resto d’Europa, sul tema dei giovani, è la mancanza di coraggio nel farli sbagliare, e nel continuare a dargli fiducia nonostante gli errori.
Luca Ottaviano
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