Vincere la Milano-Sanremo per il secondo anno consecutivo, davanti a Filippo Ganna e un campione del calibro di Tadej Pogačar, non è qualcosa che capita per caso. Serve talento, certo, ma anche una determinazione fuori dal comune. È esattamente questo che distingue Mathieu van der Poel: un fuoriclasse che ha costruito la sua carriera tra fango, asfalto e traguardi leggendari, ma che da bambino sognava anche un futuro… col pallone tra i piedi.
Dietro la figura del corridore perfetto, capace di dominare le Classiche e le corse monumento, si nasconde infatti un legame profondo e forse poco conosciuto con il mondo del calcio. Un legame che affonda le radici nella sua infanzia belga, e che oggi ritorna tra curiosità e nostalgia.
Un talento precoce… con il pallone
Correva l’anno 2003 quando un giovanissimo Mathieu, appena otto anni, venne notato dagli osservatori del Willem II, storico club della Eredivisie olandese. A scoprirlo fu il club mentre militava nelle giovanili del KSK Kalmtout, una piccola squadra dilettantistica belga nei pressi di Kapellen, la cittadina fiamminga in cui è cresciuto.

Mathieu Van der Poel – Lapresse
A raccontare questo curioso retroscena è il giornalista olandese di AD Sportwereld Mikos Gouka, in un’intervista esclusiva ai nostri microfoni, in cui ha ripercorso l’infanzia sportiva di Van der Poel. “Il Willem II lo scoprì nel 2003 e per un anno fece parte della loro scuola talenti“, ha detto Gouka. “Ogni mercoledì pomeriggio, oltre agli allenamenti con il suo club locale, si recava a Tilburg per seguire lezioni di calcio speciali“. Una routine intensa, che già allora mostrava la determinazione e la disciplina del piccolo Mathieu.
Il talento, stando agli osservatori del Willem II, non mancava affatto. “Aveva una possibilità di diventare un calciatore professionista“, riporta ancora Gouka, sebbene suo padre Adrie, ex ciclista di altissimo livello, avesse un’opinione più prudente: “Mathieu non era abbastanza bravo per arrivare nel calcio di vertice“.
Pallone o pedali?
Per un ragazzo come lui, figlio d’arte, la scelta non era affatto scontata. Il fascino del calcio era forte – basti pensare che ha sempre continuato a seguirlo da tifoso – ma il richiamo della bicicletta sembrava scritto nel destino. Non solo il padre Adrie, ma anche il nonno materno, Raymond Poulidor, è stato un’icona del ciclismo. E quando iniziò a collezionare vittorie tra i giovanissimi, la strada si fece sempre più chiara.

Mathieu Van der Poel – Lapresse
Eppure, quel “piano B” calcistico non è mai scomparso del tutto. Lo dimostrano le numerose interviste in cui Van der Poel parla con affetto di quegli anni con il pallone tra i piedi, così come il recente legame professionale con il club belga dell’Anversa, a cui la sua azienda fornisce integratori alimentari per i calciatori. Un segno che quel mondo è rimasto una parte viva del suo universo.
Un dualismo che affascina
È interessante pensare a cosa sarebbe potuto accadere se avesse proseguito nel calcio. Un Van der Poel centrocampista? Un’ala sinistra scattante e tecnica? Forse. Gouka lo paragona a Van Basten: “Vincente e pieno di talento”.
Di certo, il ciclismo ha guadagnato un fuoriclasse assoluto. E forse, proprio quell’approccio “calcistico” al ciclismo – fatto di intuizioni, visione di gioco, capacità di lettura – è uno dei suoi segreti. Alla fine, come ha detto lo stesso Jac Havermans, lo scout del Willem II che lo seguì da bambino: “Mathieu aveva qualcosa di speciale, come Frenkie de Jong. Se avesse continuato, avrebbe potuto farcela anche nel calcio“. E invece ha scelto la bicicletta. Per nostra fortuna.
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