“Tendenzialmente l’atleta di vertice viene spersonificato. Per un tifoso il giocatore è come se fosse una scatola vuota, come se lo considerasse in chiave personaggio e non persona”. Questa mattina, leggendo il Corriere dello Sport, mi sono imbattuto in questa frase del dottor Antonio Sacco, psicologo del Genoa e consulente di tanti calciatori che militano in Serie A e B. Quando l’ho letta ho esitato un istante, soffermandomi su un singolo pensiero: la scatola vuota. Pensare a una persona vacua, priva di anima e di tutto quello che ci rende umani, non è affatto semplice. Almeno dal mio punto di vista. Sarà perché mi reputo una persona emotiva, nel bene e nel male, ma la vita in quanto tale è fatta di emozioni, senza di esse saremmo esseri amorfi che ciondolano sul pianeta terra in attesa di passare a miglior vita. Per l’appunto.
Un circo senza senso
Da qui la mia riflessione. Nicolò Zaniolo è un ragazzo di appena 23 anni. A luglio ne compirà 24. Non è ancora un adulto, perché oggi a questa età pochi di noi lo sono, non possiamo fingere di non saperlo. La società odierna è questa. Dobbiamo accettarlo o tornare indietro. I soldi (tanti) che Zaniolo e altri suoi coetanei riescono a guadagnare con il calcio non possono farci dimenticare chi sono, quanti anni hanno, i problemi e i pensieri che anche loro – come noi – possono e devono affrontare ogni giorno.
Il circo che si è creato in questi giorni intorno a Nicolò, reo di aver chiesto la cessione per poi rifiutarla e tornare sui suoi passi, è qualcosa di assurdo. Quasi deprimente. Minacce, inseguimenti, la fuga nella sua La Spezia. Ora l’esclusione dal progetto tecnico. Ma aiutarlo, in qualche modo, no? Onestamente, è uno schifo. Amo il calcio, moltissimo, ma questo non lo è.
Smettiamo di cercare un colpevole
E anche qui, mentre scrivo, una parola mi salta all’occhio: reo. Colpevole. Ma reo di cosa, esattamente? Un ragazzo di 23 anni, che a quanto pare soffre d’ansia, non può avere dubbi sulla sua vita? No. E se li ha, lo massacriamo. Pensate se succedesse lo stesso a voi. Come ci rimarreste? Anche se, dinanzi a questo pensiero, la risposta che arriverebbe da molti di voi sarebbe quasi senz’altro questa: “Eh no, è diverso: Zaniolo non può soffrire d’ansia con tutti i soldi che prende. Vuole fare a cambio con me? E poi sarà tutta una finta, figurati”.
Chi lo sa, dovremmo chiederlo a Nicolò. Ma ridurre tutto a una mera questione economica mi pare un nostro limite di interpretazione. Come se le persone ricche fossero tutte più forti, emotivamente, delle persone con meno possibilità e risorse. Diciamolo pure: povere. Il denaro può aiutare, certo, ma non ti fa conoscere meglio te stesso. Non ti rivela chi sei.
Se ci ragionate nel giudizio che diamo su questi ragazzi incidono due fattori: l’immenso giro di denaro che si è creato intorno al calcio, che ci fa tendere inevitabilmente verso l’invidia, e come loro si pongono nei confronti del mondo. Quello che pensiamo di Balotelli, prima di Zaniolo, non lo penseremo mai di Tonali. Se il centrocampista del Milan un giorno deragliasse (e gli auguriamo di no) avremmo tutt’altro atteggiamento nei suoi confronti. Sarebbe giusto? No, affatto. Ma resta il fatto che tifosi che vedono i giocatori come scatole vuote, idoli prima e diavoli poi, e club che li trattano come del qualsiasi “materiale umano” (non esiste, a mio modesto avviso, termine più brutto) rappresentano un calcio che non s’ha da fare. Senza poesia, senza cuore, senza emozioni.
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