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Calcio estero

I Diaz contro gli Ancelotti: il Mondiale per club è un affare di famiglia

Da una parte l’Al Hilal di Ramon e Emiliano, dall’altra il Real Madrid di Carlo e Davide: l’ultimo atto di Rabat metterà di fronte due coppie di allenatori padre-figlio. Da Meneghin a Lebron, lo sport a volte è una sfida fatta in casa

Davide Ancelotti e Carlo Ancelotti
Real Madrid's head coach Carlo Ancelotti, right, speaks with his son, assistant coach Davide Ancelotti before the start of a Spanish La Liga soccer match between Valladolid and Real Madrid at the Jose Zorrilla stadium in Valladolid, Spain, Friday, Dec. 30, 2022. (AP Photo/Pablo Garcia)

A volte lo sport può diventare un affare di famiglia. E il calcio non fa eccezione. Di solito si tratta di una passione tramandata di padre in figlio, come nei casi di Cesare e Paolo Maldini, di Bruno e Daniele Conti oppure di Alberto e Daniele De Rossi. Giocatori prima, allenatori poi, che magari si sono incrociati sui campi durante le rispettive carriere. Mai prima d’ora, però, si era verificato quello che accadrà questa sera in occasione della finalissima del Mondiale per club, in programma a Rabat tra Al Hilal e Real Madrid (fischio d’inizio ore 20). Sulle panchine delle due squadre, infatti, siederanno due coppie di allenatori fatte in casa. E non diciamo per scherzo. Scorrendo le distinte delle due formazioni si leggono da una parte i nomi di Carlo Ancelotti e del figlio Davide, dall’altra quelli di Ramon Diaz e del primogenito Emiliano. Una sfida nella sfida che rende ancora più interessante l’ultimo atto della competizione organizzata dalla Fifa.

Diaz-Ancelotti, la storia infinita

Quella tra Diaz e Ancelotti è una sfida senza tempo. Nati entrambi nel 1959 (Ramon il 29 agosto, Carletto il 10 giugno), da giocatori i due si sono affrontati innumerevoli volte sui campi della Serie A. Carlo vestendo i panni di quello splendido centrocampista centrale capace di unire quantità e qualità, prima nella Roma di Liedholm poi nel Milan di Sacchi. Ramon facendo impazzire le difese avversarie di tutta Italia (ma non solo) grazie a un talento, una tecnica e una rapidità fuori dal comune. River Plate, Napoli, Avellino, Fiorentina, Inter, Monaco e Yokohama Marinos le squadre in cui ha giocato nel corso della sua carriera. Lo spirito da giramondo, del resto, ha sempre contraddistinto Diaz, attaccante argentino vissuto all’ombra di Maradona. Un vizio, quest’ultimo, che non ha perso nemmeno da allenatore. Al contrario, ha viaggiato ancora di più, sedendo sulle panchine di quattro continenti diversi: Europa, Americhe, Africa e Asia.

Il calcio nel sangue, quanti casi

Proprio la sua ultima avventura in Asia lo ha portato di novo al cospetto di Ancelotti. Con il quale, curiosamente, condivide un destino particolare: sedere in panchina col proprio figlio. Si chiama Emiliano ed è nato a Napoli nel 1983, nel corso dell’unica stagione vissuta da Ramon ai piedi del Vesuvio (era il 1982-83, chiuse con 25 presenze e 3 gol). Ma la sfida fatta in casa tra i Diaz e gli Ancelotti ci fa tornare alla mente tanti altri casi di giocatori che hanno tramandato ai figli la loro passione per il calcio, magari ritrovandoseli davanti nel corso della carriera. Oltre ai già citati casi di Maldini, Conti e De Rossi restando in Italia possiamo aggiungere l’esempio di Valentino e Sandro Mazzola, due fuoriclasse del calcio azzurro che per un destino beffardo (la tragedia di Superga) non hanno mai potuto incontrarsi su un campo da gioco.

Ma anche all’estero sono tante le coppie di calciatori padre-figlio: in Inghilterra ci sono Harry e Jamie Redknapp ma anche i Lampard con Franck Sr. e Franck Jr., in Uruguay Julio e Paolo Montero, in Argentina Juan Ramon e Juan Sebastian Veron, in Spagna Miguel e Pepe Reina, in Francia Jean e Youri Djorkaeff, in Danimarca Peter e Kasper Schmeichel, in Olanda Johan e Jordi Cruijff, in Brasile Mazinho e Tiago Alcantara, in Norvegia Half Inge ed Erling Haaland. Insomma, il calcio e lo sport sono quasi sempre un affare di famiglia. A tutte le latitudini. La palla passa di piede in piede oppure di mano in mano.

Da Meneghin a Lebron, quando lo sport è di casa

Già, perché anche negli altri altri sport sono tanti i casi di figli che seguono le tracce dei padri. Dino e Andrea Meneghin si sono addirittura incrociati sui campi da basket: il grande Dino aveva 40 anni quando affrontò suo figlio Andrea, 16enne, al suo esordio in Serie A. “Mi piacque fin da subito, per l’atteggiamento che aveva in campo”, ricorderà Dino Meneghin poi in un’intervista parlando di quell’incredibile partita. Oscar Schmidt, ex cestista brasiliano, a fine carriera è invece riuscito nell’impresa di giocare con il proprio figlio. Quello che vorrebbe fare anche un certo Lebron James, quel ragazzotto di Akron che ha appena superato il record di punti realizzati in NBA superando Kareem Abdul Jabbar. L’obiettivo è già nel mirino: “Smetterò solo quando Bronny arriverà in NBA, nel 2024, e avrò giocato con lui”. Quando avrà 40 anni. Se lo dice sua maestà Lebron, è probabile che andrà proprio a finire così.

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