Premessa: Paolo Maldini merita amore infinito da parte dei suoi tifosi e soprattutto rispetto e stima per il lavoro svolto, non solo con pantaloncini e scarpini ai piedi, ma anche da quando ha preso posto alla scrivania di Casa Milan a dirigere l’area tecnica di via Aldo Rossi. Al suo intuito, al suo carisma e all’aura leggendaria che avvolge il suo personaggio si devono alcuni dei colpi più brillanti del mercato degli ultimi anni.
In principio fu Theo Hernandez, lasciato sul ciglio di una strada dal Real Madrid e raccolto con amore da Maldini, bravo a intuire che quel ragazzo scavezzacollo, famoso fino a quel momento solo per i suoi party in piscina con pistole finte, sarebbe diventato uno dei più forti esterni al mondo e che sulle sue sgroppate in fascia avrebbe costruito le fondamenta del nuovo Milan.
Da lì in poi è stato un susseguirsi di grandi colpi, da Leao a Tonali, passando per Tomori e Maignan, senza dimenticare Kalulu, Bennacer e la scommessa sui grandi vecchi Ibrahimovic, Kjaer e Giroud. Un lavoro da 9 in pagella, senza dubbio alcuno.
Mercato in chiaroscuro
Poi però è arrivato lo scudetto e con il tricolore anche l’impennata delle aspettative di tifosi e addetti ai lavori, non proporzionale – purtroppo – agli investimenti messi a disposizione dalla proprietà (che nel frattempo è passata da Elliott e Red Bird senza alcun mutamento fisiologico).
È così che Paolo Maldini, fu Cesare, anzichè puntare sui 3 colpi top che aveva richiesto alla fine dello scorso campionato, è stato costretto a mollare il colpo prima su Botman, poi su Renato Sanchez, e mettere tutte le fiches su De Ketelaere, lasciando gli ultimi spicci rimasti nel forziere di Casa Milan per gli scampoli di fine stagione: Thiaw, Vrankx e Dest.
Oggi, dopo circa 6 mesi di apprendistato, il tedesco sta cominciando a rendere secondo quanto la dirigenza rossonera si aspettava, del belga e dello statunitense invece nessuna traccia. Volendo c’è ancora tempo, ma se il primo è già un calciatore di proprietà del Milan, gli altri due sono in prestito e andrebbero eventualmente riscattati (12 Vrankx, 20 Dest), il che mette entrambi in una posizione decisamente più precaria.
Poi c’è la questione De Ketelaere, di cui abbiamo dibattuto a lungo nelle pagine di OA Calcio. Noi continuiamo a schierarci dalla parte di coloro che ritengono il belga un potenziale campione, da aspettare ancora in attesa dello switch definitivo. Si spera non troppo a lungo.
Il flop di Maldini
Il vero flop di Paolo Maldini ha un solo nome e cognome, quello di Divock Origi. Il direttore dell’area tecnica del Milan, coadiuvato dal sempre fedele Massara, ha visto nel belga il centravanti da prendere al volo a parametro zero, a fronte di un contratto molto oneroso (4 milioni all’anno più bonus), malgrado il curriculum dell’ex Liverpool evidenziasse già qualche criticità: innanzitutto una fragilità fisica che puntualmente è stata ribadita anche nella sua avventura milanese, e poi una capacità realizzativa pari a quella di un discreto terzino. Peccato che lui sia un centravanti.
Al Milan finora ha realizzato 2 reti complessive, peraltro inutili contro Monza e Sassuolo, in 625 minuti sparpagliati in 17 deprimenti presenze. In Champions, ancora peggio: 69 minuti giocati senza lo straccio di un momento da ricordare.
Paradigmatico quanto accaduto sabato a Monza: Divock Origi ha stabilito un clamoroso record negativo, totalizzando il 20% dei passaggi riusciti (uno solo in tutto il match, destinatario Brahim Diaz): nessun giocatore di movimento con almeno 60 minuti giocati aveva fatto peggio fino alle 23^ giornata.
Un fallimento senza precedenti, amplificato dalla considerazione che in estate il Milan, su suggerimento del talent scout Moncada, ha avuto la possibilità di affondare il colpo su Kolo Muani, centravanti del Nantes, finito poi a parametro zero all’Eintracht Francoforte e protagonista stagionale in Bundesliga, in Champions e perfino ai Mondiali con la maglia della nazionale francese.
Nessuno oserà mai mettere in discussione l’importanza fondamentale di Maldini per il Milan, ma stavolta non si può fare a meno di dirlo: Paolo, hai toppato!
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