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Maurizio Sarri, tra “Nazionali follia” e “calcio business”: due spunti da valutare

In modo schietto il tecnico della Lazio ha posto sul tavolo problemi concreti cui urge trovare una soluzione

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Maurizio Sarri
Maurizio Sarri (© LaPresse)

Non ha usato eufemismi, come suo costume, Maurizio Sarri nel parlare della sosta per le Nazionali e del crescente numero di partite in programma.

Livello

L’allenatore della Lazio ha ammesso di aver guardato solo 10 minuti di Kosovo-Andorra dopo aver visto 22 giocatori in area ed essersi chiesto cosa stesse succedendo, ma anche riconosciuto: «A me delle Nazionali non interessa niente. Non le guardo e non le critico». In questo modo Sarri apre una riflessione – da amante e studioso del gioco – non indifferente sul valore delle proposte tattiche delle selezioni. 

Se il fuorigioco esasperato dell’Arabia Saudita contro l’Argentina al Mondiale poteva aprire la strada ad un nuovo modo di difendere, in realtà si è trattato di una situazione studiata ad hoc per un singolo match preparato con ampio margine di tempo e non sistematizzata. La spinta innovatrice dei ct – per ovvie ragioni di tempo di lavoro – è sempre più ridotta, tanto che sono le Nazionali a implementare le tendenze tattiche del campionato e non viceversa. 

Lavoro

Tanto egoisticamente quanto sinceramente, l’allenatore toscano ha ammesso di preferire che i propri calciatori non vengano convocati «così si riposano e si allenano». L’esempio di Vecino – impegnato in una doppia amichevole in Giappone e Corea del Sud – è quello che ha contribuito nel portare Sarri a definire  «una follia» le Nazionali. Anche perché, oltre a inspessire i calendari e gli impegni, non contribuiscono all’evoluzione del gioco. 

Salute

Calendari fitti che hanno ricadute anche sulla salute dei giocatori. Anche se è eccessivo dire che «in ogni match ci sono 5 o 6 infortunati» come sostiene il tecnico biancoceleste, certamente comprimere i tempi di recupero non aiuta l’integrità dei calciatori. E la qualità del gioco.

Direzione 

Eppure si parla di aumentare il numero di match: un campionato «non fattibile» con calendario già «folle», tanto quanto chi paragona calcio e Nba. Tutto «business» e poco (o niente) sport. Una direzione che protrerebbe secondo Sarri a non ritenere impensabile che «tra 10 anni finisca tutto».

Riforma

Sarri ha quindi avuto il merito di alzare il velo di ipocrisia e di politically correct con cui molti allenatori e addetti ai lavori approcciano il tema calendari e Nazionali. In ogni caso queste rimangono una parte fondamentale della magia del calcio, ma appare sempre più necessaria una riforma del calendario. 

Magari concentrando in specifici periodi dell’anno (estivi ed eventualmente invernali) le gare senza escludere di introdurre tornei di qualificazione alle principali manifestazioni in modo da garantire un accesso di merito sportivo e non di mero blasone alle stesse e di creare nuovi eventi per Nazionali di maggiore appeal (anche mediatico) rispetto alle amichevoli o qualificazioni durante la stagione.  

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