Serie A
Inter e Milan a braccetto: crisi in Serie A, allenatori in discussione, grandi fiammate in Champions League
I due allenatori hanno riportato i club tra le prime otto d’Europa ma in campionato ci sarà da soffrire fino a giugno. La stagione, finora, è positiva. Perché criticarli?
Dopo l’impresa del Milan, capace di eliminare il Tottenham, è arrivata quella dell’Inter sul campo di Oporto. Uno 0-0 ottenuto con le unghie e con i denti che ha regalato la qualificazione ai nerazzurri, giunti ai quarti di finale di Champions League 12 anni dopo l’ultima volta. Era il 2010-11, con Benitez in panchina, poi sostituito da Leonardo. Più o meno lo stesso lasso di tempo dei “cugini”, che non entravano nelle prime otto d’Europa dal 2011-12. Una strana coincidenza, che diventa ancora più particolare se pensiamo alla stagione che stanno vivendo le due squadre di Milano, fatta di alti e bassi che hanno portato gli addetti ai lavori a criticare a più riprese l’operato dei due allenatori. E dire che meglio di così, negli ultimi anni, non si era mai fatto. Quanto meno al di là dei propri confini e riuscendo, al contempo, a lottare su più fronti.
Già, perché numeri alla mano entrambe possono ancora centrare più obiettivi stagionali. I nerazzurri sono in semifinale di Coppa Italia, nei quarti di Champions e secondi in classifica in Serie A. E hanno portato a casa un trofeo: la Supercoppa Italiana. I rossoneri, invece, sono quarti in campionato e nelle prime otto d’Europa: lo scudetto è andato, la Supercoppa anche, ma due obiettivi su quattro sono ancora possibili. Allora per quale ragione le due squadre sono sempre nell’occhio del ciclone e i loro allenatori sono stati messi più volte sotto accusa?
La colpa, se così possiamo dire, è degli scudetti vinti in sequenza da Antonio Conte (2020-21) e Stefano Pioli (2021-22). Imprese che hanno alzato l’asticella di stampa e tifosi nei confronti di Inter e Milan. Come se vincere un titolo portasse automaticamente in dote un bonus di punti per la stagione successiva. Non è così. Al contrario, continuare a vincere, anno dopo anno, è la cosa più complicata nello sport.
“Spiaze” davvero per Inzaghi
Del resto il calcio non ha memoria. E non concede mai tempo a nessuno. Soprattutto in Italia, un Paese che vive e si nutre quotidianamente di pallone. Per questo diventa facile dimenticarsi che Simone Inzaghi, da quando è all’Inter, ha avuto il demerito di non riuscire a vincere uno scudetto che sembrava alla portata della sua squadra, quello della passata stagione. Ma ha anche vinto tre trofei (due Supercoppe italiane e una Coppa Italia) e ha riportato i nerazzurri nei quarti di finale di Champions League superando il cosiddetto “girone della morte” con Bayern Monaco e Barcellona.
E ci si dimentica che Inzaghi è arrivato in un club alle prese con una crisi economico finanziaria che ha costretto Marotta e Ausilio a fare operazioni di mercato non proprio in linea con le big dei campionati europei. Che Conte, nell’anno dello scudetto, poteva contare su Hakimi, Perisic e Lukaku mentre Inzaghi, l’anno scorso, ci è andato vicino senza il marocchino e il centravanti belga. Che il Napoli, ora come ora, sta giocando il miglior calcio d’Europa e sta vivendo un’annata surreale. Quali sono, allora, le colpe di Inzaghi?
L’unico rammarico, ad oggi, è non essere riusciti a rimanere in scia al Napoli e non aver già chiuso il discorso della qualificazione alla prossima Champions League vincendo qualche trasferta in più. Ma non può bastare questo per criticare un allenatore e metterlo costantemente sulla graticola. Perché senza memoria, e la giusta dose di obiettività, una stagione fin qui positiva rischia di essere vista come una stagione negativa. Mentre i giudizi andrebbero dati solo alla fine del percorso intrapreso, non durante. Parlare di crisi in campionato quando si è secondi con 50 punti, a 12 gare dal termine, fa quasi venire da ridere.
Pioli “is on fire”
Per gli stessi identici motivi diventa facile criticare Stefano Pioli e dimenticarsi che il tecnico emiliano dovrebbe godere di un credito pressoché illimitato per quanto fatto sulla panchina del Milan. Lui, il Diavolo, lo ha ereditato a ottobre del 2019 da Marco Giampaolo in una situazione disastrosa e, nel giro di un paio d’anni, l’ha riportato prima in Champions League poi sul tetto d’Italia. Un cammino pieno di ostacoli, che l’ex allenatore di Lazio e Fiorentina, tra le altre, ha superato uno dopo l’altro per poi tagliare l’incredibile traguardo del 19esimo scudetto. Pioli, a quel punto, era “on fire”. Per i tifosi, per la stampa. Ma è bastato un mese storto (gennaio 2023) per mettere tutto in discussione.
Lui ne è uscito (alla grande) e ha centrato una nuova impresa: mandare a casa il Tottenham di Conte agli ottavi di Champions. Una squadra più attrezzata ma non per questo più forte del suo Milan. Vero, il quarto posto in campionato è tutt’altro che al sicuro dagli assalti della Roma che dista solo un punto, ma anche Lazio e Inter sono lì a pochi passi di distanza. Insomma, la corsa per l’Europa è ancora apertissima e il rush finale si preannuncia avvincente. Godiamocelo senza mettere ulteriore pressione a due allenatori che in fin dei conti hanno riportato il calcio italiano dove non arrivava da anni. Questo, oggi, è l’unico dato oggettivo.
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