Champions League
Milan, la storia non si compra. La tradizione europea si è fatta sentire contro il Napoli
Sette trionfi, tante battaglie ad alto livello. L’abitudine del club rossonero a certi tipi di partite ha fatto la differenza. Gli azzurri hanno poco da rimproverarsi. Anche se Spalletti…
Un Milan perfetto, sempre a suo agio, contro un Napoli più forte ma apparso costantemente infastidito da qualcosa. Come se questa doppia sfida gravasse tremendamente sulle sue spalle. Il peso di essere i favoriti, la squadra che aveva giocato fino a quel momento il miglior calcio d’Europa, incensata da tutto e tutti (ivi compreso Pep Guardiola) ha schiacciato gli azzurri. Capaci di essere comunque belli, ma non cinici. Non quanto sarebbe servito contro un Diavolo che in Champions League, nella sua “casa”, ha ritrovato sé stesso. Come da tradizione. Quella europea, quella della “Coppa delle grandi orecchie”. La coppa del Milan, che nella sua storia ne ha vinte 7. Solo il Real Madrid, con 14, ha fatto meglio. Qualcosa vorrà pur dire.
Sì, vuol dire che la storia non si compra. Che la tradizione europea del Milan ha fatto la differenza. Seppur solo in parte, sulla testa dei giocatori. E di conseguenza sulle loro gambe. L’esempio più lampante è quello di Kvaratskhelia. Immarcabile e implacabile fino a qualche settimana fa, capace di errori grossolani sotto porta ieri sera al “Maradona”. Rigore incluso (anche se in quell’episodio “Magic Mike” Maignan ci ha messo tanto del suo). Il georgiano, non dimentichiamolo, è un classe 2000. Non va criticato, anzi. Ha solo 22 anni e una breve carriera alle spalle. Nonostante ciò ha cercato di trascinare la squadra, riuscendoci per larghi tratti. E non si è tirato indietro nemmeno dal dischetto. Roba da duri. Purtroppo l’importanza della partita, del momento, si è fatta sentire ed è arrivato l’errore. Ma avrà tante occasioni per rifarsi. Magari proprio con la maglia del Napoli.
Tra ingenuità ed episodi
La disabitudine del Napoli a disputare certe partite si è vista anche in tante piccole cose. In quei dettagli che fanno la differenza, proprio come dice José Mourinho: “La Champions è la coppa dei dettagli”. L’ingenuità di Kim, che all’andata prende un giallo evitabilissimo a pochi minuti dalla fine sapendo di essere in diffida. Quella di Anguissa, che già ammonito alza la gamba rischiando un’espulsione che infatti arriva e piomba come una scure sul collo della sua squadra. Bravissima a resistere in dieci uomini a “San Siro”, meno al ritorno quando paga a caro prezzo l’assenza del camerunense in mezzo al campo: il gol di Giroud, con Leao che parte dalla sua trequarti e si fa 60 metri palla al piede, con Zambo difficilmente sarebbe arrivato.
Del resto ogni delitto ha il suo castigo. E se tra i “delitti” aggiungiamo gli errori commessi ieri da Di Lorenzo e sette giorni fa dal duo Lobotka-Mario Rui, incapaci di fare fallo (su Leao e Diaz) per interrompere le azioni che hanno deciso le due sfide, ecco che la vittoria del Milan prende corpo, diventando l’inevitabile castigo del Napoli. I 37 tiri tentati (di cui 9 in porta), le straordinarie parate di Maignan e i dubbi episodi arbitrali tra andata e ritorno (su tutti il rigore non assegnato al “Maradona” per il fallo di Leao su Lozano quando ancora si era sullo 0-0) passano così in secondo piano. E sono la conseguenza di quei dettagli tanto cari a Mou.
Pioli vs Spalletti, vince l’Emilia
Sul piano tattico Stefano Pioli ha vinto il confronto con Luciano Spalletti. Che a sua discolpa può rimpiangere il fatto di aver perso Osimhen alla vigilia della sfida più importante della stagione. Non sapremo mai come sarebbe andata con il nigeriano in campo sia a Milano che a Napoli. Ma è evidente che nella gara di ritorno il centravanti abbia avuto il suo peso, al di là del gol nel recupero. E che considerando la mole di gioco creata dagli azzurri la sua presenza a “San Siro” avrebbe potuto fare la differenza. Ma in generale, se analizziamo le scelte fatte dai due allenatori per affrontare il doppio confronto, ai punti vince senz’altro Pioli.
Il tecnico emiliano ha scientemente deciso di abbassare il baricentro della sua squadra per creare lo spazio necessario a Leao per far male alla difesa del Napoli. Che, quando è schierata e non dà profondità al proprio avversario, è quasi inattaccabile grazie alla velocità e allo strapotere fisico di Kim. Il tutto impreziosito dalla felice intuizione di alzare Bennacer da trequartista, un giocatore capace al tempo stesso di inibire la regia di Lobotka e di dare qualità una volta riconquistata palla. La gamba e la tecnica dell’algerino hanno di fatto spostato gli equilibri. E alla fine è stato il suo gol di “San Siro” a regalare la semifinale al Milan.
Spalletti, invece, ha peccato forse di presunzione. Dopo lo 0-4 subito in campionato sapeva che il Diavolo avrebbe giocato così. Ma non ha apportato modifiche allo stile dei suoi. Tanto meno ha cercato soluzioni tattiche che andassero a inibire le scorribande di Leao, con marcature preventive a tutto campo che avrebbero potuto evitare il peggio. Magari sacrificando un pochino anche la fase di costruzione. Insomma, con qualche tiro in meno ma con una maggiore attenzione difensiva forse il Napoli sarebbe ancora dentro la Champions. Allora, almeno questa volta, l’Emilia batte la Toscana. E ad essere sinceri non vediamo l’ora che arrivi la rivincita.
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